Considerazioni su “Innovazione e Bellezza”
Sono certo che i lettori sono in grado di gustare fino in fondo questo elogio alla bellezza di Pier Giuseppe Cassone. Innovazione e Bellezza, per essere precisi, il che vuol dire qualcosa di leggermente diverso. E funzionale e duraturo, nello stesso tempo. Bisogna essere ottimisti, per pensare di poter raggruppare tutte queste quattro prerogative in norme stringenti, UNI o ISO che siano: le norme, volere o no, impongono al futuro esperienze passate. Per andare avanti, chiedono di essere interpretate non pedantemente applicate.
La bellezza, dev’essere la stella polare cui deve tendere l’innovazione. Bellezza che si trova tanto nelle soluzioni matematiche semplici di problemi complessi, dice Cassone, quanto nell’iPod di Steve Jobs.
Forse, io dico, sono necessarie sensibilità diverse per comprendere l’uno e le altre: una moltitudine ha apprezzato per la sua bellezza della creazione di Apple, senza intuirne la complessità nascosta; solo chi possiede ottime cognizioni scientifiche è in grado di riconoscere le altre.
Un appunto marginale: è ancora più difficile vedere nella padronanza delle tecniche creative e artistiche di Dalì, l’anticipazione di un mondo a n dimensioni. E’ evidente la sua capacità di rappresentazioni tridimensionali, anche di insondabili profondità, senza ricorrere a giochi prospettici, ma l’unica opera in cui, personalmente, ho “sentito” di trovarmi di fronte a dimensioni sconcertanti, è quella della cala con sfondo di rocce, in cui, in primo piano, sulla spiaggia sabbiosa il cane solleva un lembo della superficie dell’oceano. Spero non sia un mio sogno surreale, perché non ho più rintracciato quel quadro in nessuna mostra o catalogo.
Restringo il campo all’architettura, visto che in capo all’articolo spicca un particolare del museo di Frank Gehry sulla riva del Nerviol a Bilbao. La poetica di Gehry e tutta orientata verso la bellezza e l’innovazione. mi era inizialmente sfuggita: andando al MIT, ho visto il Data Maria Stata Center dalla parte preesistente del complesso, una serie infinita di finestre squadrate, e avevo pensato: se questo è Gehry andiamo bene! Nessuno mi aveva suggerito di recarmi a vedere la parte su cui Gehry era intervenuto con la sua dirompente innovazione. Di conseguenza, qualche anno dopo, non mi ero spiegato il salto di stile (la poetica, se preferite) fatto nell’Experience Music Projet di Seattle, con gli occhi abbagliati dai cromatismi delle sue forme amebiche.
Un’infinità di persone conosce un piccolo scorcio del Guggenheim Museum di Bilbao. La copertura di uno dei volumi espositivi su cui scendeva, armoniosamente ondeggiante sul suo skateboard, una succinta fanciulla che pubblicizzava non ricordo quale prodotto. Ho avuto la sfortuna vederlo, l’edificio, nel suo rivestimento grigio argento patinato, in una tediosa e grigia giornata di afa, un cielo inesistente ed il fiume torbido fra le sue sponde in cemento. Il gioco dei volumi, appiattito dalla mancanza di ombre, in gran parte perduto, riservato a occhi attenti e curiosi.
Ho parlato di Gehry; non c’è forse innovazione e bellezza e funzionalità nel Centro Pompidou a Parigi?
E nella Chiesa del Giubileo 2000 di Meier, non si è cerata anche la durabilità, caratteristica indispensabile per opere destinate al culto? Ho citato la Chiesa, riportandone un’immagine, perché è un’opera in cui sono stato coinvolto in prima persona, realizzabile solo con tecniche, mai utilizzate in edilizia e tali da spaventare parecchie imprese costruttrici per la loro carica innovativa. La traccia di queste tecniche è rimasta, e si ritrovano, ad esempio, nella costruzione del grattacielo di tremila metri a Chicago.
Un’ultima considerazione sulla bellezza: caratteristica intrinseca di un’opera che deve reggere al giudizio del tempo. Innovativa, quando è stata realizzata, ma non più attuale nel 2000.
Esempio. il tempo dorico nell’antica Grecia, la cattedrale gotica di Chartes nel Medio Evo, il Barocco romano, qualche secolo dopo e, se volete, le Isotta Fraschini dei primi anni del ‘900. Cosa che non si potrà dire dei mostri che sorgono in tutte le parti del mondo solo perché ci sono tecniche per realizzarli.
Gen Guala
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